martedì 24 febbraio 2015

Ho conosciuto Gianluca Spina

Ho conosciuto Gianluca Spina
Ho conosciuto Gianluca Spina la mattina in cui, insieme ad una trentina di alunni, che poi sono tutti diventati miei amici, iniziavo il mio corso al 1° EMBA ICT presso il MIP, la Business School del Politecnico di Milano.
Abbiamo avuto da quel giorno diverse occasioni di incontro anche dopo che era diventato il Presidente della Scuola soprattutto per temi che riguardavano i rapporti del MIP con l'associazione degli Alumni. Associazione nata soprattutto grazie alla tenacia ed alla volontà di un altro Gianluca (Ferranti), mio grande amico.
Non ho mai scritto di persone che non sono più tra noi. Sarebbe sempre meglio scrivere e parlare di persone con cui puoi confrontarti, con cui puoi discutere.
Mi chiedo quindi: perché parlarne?
Il primo motivo è lo sconvolgimento che la notizia mi ha suscitato. Quando ho ricevuto l'SMS che me la annunciava, ho istantaneamente sperato che si trattasse di un'altra persona. Scelta un po' egoista, visto che si parla sempre di una morte. Purtroppo altri messaggi mi hanno confermato che si parlava proprio di lui e il comunicato del MIP ha definitivamente eliminato ogni dubbio.
Ne parlo perché ricordo le nostre discussioni e mi viene in mente quella determinazione e quella chiarezza nella definizione delle proprie idee che non lasciava dubbi alle loro interpretazioni. E' una cosa che ho apprezzato. Posso quindi dire che qualche volta non ero d'accordo, ma non posso dire che Gianluca non ci avesse sempre chiarito il perché delle sue scelte.
Gianluca Spina presenzia la Winter Conference di AlumiMIP
del 2009 con il Prof. Tomaso Padoa Schioppa
Ne parlo perché Gianluca Spina per me rappresenta il MIP. Ricordo le occasioni in cui l'ho visto al mio fianco in qualche evento che abbiamo organizzato per conto di AlumniMIP e il piacere che provava quando parlavamo dei risultati delle nostre regate dove abbiamo fatto sventolare la bandiera della nostra Scuola su qualche podio internazionale.
Non avrei mai immaginato che il suo spirito di competizione, che per certi versi ne faceva anche un uomo sportivo, ne determinasse la sua fine.
Ne sono sconvolto e ne parlo.
Ne parlo perché per me il MIP rappresenta un tassello importante delle mia vita e Gianluca ne era un pezzo importante.
Ricordo al Christmas Party  del 2013 quando mi disse : "Paolo, tu ci sei?..."
Risposi senza neanche sapere per cosa.
"Certo che ci sono Gianluca" gli dissi e immagino, ora, che si trattasse di qualcosa a cui stava pensando.
Chissà quanti altri progetti, quante idee sono rimaste lì senza poter mai più vedere la luce.
Tutte coperte da un manto di neve assassina.

Ricorderò sempre quelle parole.

martedì 24 giugno 2014

Sono proprio un troglodita


Sono un ingegnere elettronico, laureatosi con un piano di studio d’indirizzo informatico. Mi sono sempre interessato di sviluppo software che è stato il mio primo impegno professionale e un po’ anche la mia passione. Sviluppare algoritmi che riuscivano a risolvere problemi di logica anche complicati, è sempre stato il mio pallino. Poi è arrivato il marketing ed anche quella è stata una mia vocazione. Il mondo dell’informatica applicato alla comunicazione è quindi un campo in cui dovrei assolutamente sentirmi a mio agio.
Eppure per certe cose sono rimasto un troglodita. Devo dirlo e ancor di più in questo giorno che festeggio il mio compleanno.
Non è che mi dia fastidio – in quel caso sarei oltre che antipatico anche maleducato – ricevere gli auguri su Facebook o sistemi simili, ma quando succede non salto di gioia.
E’ una situazione un po’ al limite: la prima sensazione che mi procura un messaggino su FB che dica “Happy birthday” è di piacere. Mi dico: che carino, Tizio che si è ricordato di me. Subito dopo penso: certo che una mail un po’ più personalizzata, anche una cosa che mi dica “come sei diventato vecchio….”, forse mi avrebbe fatto più piacere.
 
Qualcuno oggi comunque l’ha fatto. Amici che mi hanno chiamato al telefono per avere un contatto personale, chi mi ha scritto un messaggino in cui si capisce che …. si è un po’impegnato (:-)), chi ha voluto farmi gli auguri di persona. Devo ammettere che in questo caso la soddisfazione è stata massima.
Ecco: sono rimasto un troglodita. Apprezzo molto di più il contatto diretto che quello telematico.
Sono convinto – e questo è il dissidio che si combatte dentro la mia mente – che si tratti solo del mio non volermi adeguare a un mondo che cambia. Un messaggio di WhatsApp per molti è concepito come una conversazione al bar davanti ad un caffè. Un post su Facebook è come origliare all’orecchio del destinatario. Un SMS è come scrivergli una lettera con tanto di pergamena e penna stilografica. Sono di un’altra epoca e, come dice Baricco nel suo libro “I barbari”, forse si tratta solo di un mio limite, di un problema di adeguamento. Il mondo sta cambiando ed io non me ne accorgo. E forse molte persone troveranno questo post irriguardoso e scostumato. Ripeto: si tratta solo di un mio limite.
Dopotutto ho detto che oggi è il mio compleanno, ma la cosa che determina la differenza è che gli anni sono cinquantaquattro. Non proprio briciole, per dirla tutta.
 
Un carissimo saluto a tutti quelli che oggi si sono ricordati di me. Apprezzo tantissimo i vostri messaggi verbali, telefonici, via mail, via Facebook, via Linkedin. Quello che voglio dirvi, e sono sicuro che, se mi conoscete, sapete che sto dicendo la verità, è che vi amo tutti. Sono molto orgoglioso di avere tante persone, io li chiamo amici (ma non di Facebook, ma amici veri) che oggi mi hanno tenuto, anche se solo per 5 secondi, nei loro pensieri. 
Insomma sarà che oltre che antico sono anche un po’ narcisista, vedere il mio cellulare che si illumina e mi riporta l’ultimo aggiornamento di Facebook….. mi fa sempre battere un po’ il cuore.
 
Tanti auguri a tutti.
 

PS: ho appena aperto la mia pagina di Facebook e trovo tantissimi nomi che mi piacciono e che si sono uniti alla lista degli "scrittori di auguri". Ne sono lusingato e mi verrebbe proprio di buttar via questo post.... ma ormai l'ho scritto. :-)

 

sabato 22 febbraio 2014

LA RICETTA DI HARVARD PER REALIZZARE LA NOSTRA STATEGIA E RISPONDERE ALLA DOMANDA DI TOTO’



Non basta una grande idea per avere successo. La storia ci insegna che sono tantissime quelle naufragate nella loro messa in opera. In termini tecnici si dice che si può avere un progetto interessante, un’idea sulla strategia da perseguire, ma se si difetta nell’execution non si ha alcuna speranza. Una buona execution è frutto di diversi fattori:

  • il contesto in cui ci stiamo muovendo dettato dal momento economico, politico, sociale;
  • la competenza specifica (è un po’ difficile realizzare qualcosa di cui non si conosce nulla o dove esiste tanta gente che ne sa molto più di te);
  • la fortuna di trovarsi al momento giusto al posto giusto (la citazione in un articolo, essere ospite di una trasmissione televisiva dove si parla dell’argomento e dalla quale esci come l’esperto mondiale della tematica, l’incontro in ascensore con quello che si rileverà essere il tuo finanziatore).
In ogni caso per avere successo bisogna sapere cosa si vuol fare. Non si può iniziare un progetto senza pianificare con cura il cammino che deve portarci al risultato cercato.
Un ottimo strumento, che ho anche qualche volta utilizzato per progetti di semplice impatto, è quello di definire una Mappa Strategica su cui eventualmente implementare una  Balanced Scorecard.
Robert  Kaplan e David Norton, Professori della Harvard Business School con l’articolo «The Balanced Scorecard - Measures that Drive Performance» hanno proposto un nuovo approccio per misurare le performance aziendali. L’aspetto rivoluzionario sta nel prendere in considerazione oltre agli aspetti puramente economici, che normalmente danno informazioni quando un evento si è già verificato e ormai è troppo tardi per porvi rimedio, anche altre prospettive fondamentali alla corretta attuazione di una strategia.
Come definire una Mappa Strategica per il proprio progetto
Bisogna definire le azioni che s’intendono attuare sotto le 4 prospettive.
Prospettiva dell’apprendimento:
si considerano tutte le attività riguardanti le risorse umane coinvolte nel progetto
Prospettiva dei processi:
si pianificano tutte le attività che riguardano l’organizzazione del lavoro
Prospettiva del Cliente:
si progettano le azioni che coinvolgono direttamente le attività fatte nei confronti dei Clienti
Prospettiva economica:
si disegnano le attività concernenti argomenti di natura e impatto prettamente economico
Supponiamo che un’azienda persegua l’obiettivo di aumentare i propri ricavi e che voglia pianificare come arrivare a questo risultato.
Potrà identificare (secondo la prospettiva dell’apprendimento) che è necessario effettuare del coaching ad un dirigente per far in modo che sia più in linea con i compiti affidatigli , oppure effettuare delle azioni di coinvolgimento di tutto il personale, oppure effettuare specifici corsi di addestramento per un particolare settore aziendale. Da qui si potrebbe passare, nell’ottica dei processi, ad identificare come necessario l’utilizzo di un nuovo CRM e così via.
Questo fino ad arrivare all’obiettivo, e quindi alla stesura completa, della propria Mappa Strategica.
Si potrebbe arrivare quindi a un disegno del tipo di quello sotto riportato.



La definizione di una Balanced Scorecard, che potrebbe essere argomento di un nuovo articolo, definisce le variabili (driver) che possano servire a verificare l’attuazione della strategia.
Se si è immaginato di incrementare il numero di eventi marketing, il driver potrà essere proprio il numero di eventi organizzati oppure il numero di partecipanti a questi eventi e si potrà controllare come questo driver si comporta nel tempo sapendo che, qualora l’obiettivo non venisse perseguito relativamente a questa attività, sarà molto probabile che le azioni che da questa dipendono avranno grossa difficoltà a realizzarsi.
E’ ovvio che la pianificazione di una strategia da adottare non è il progetto, né che un’ottima pianificazione è necessaria al suo successo, ma sapere come muoversi e studiare prima quali debbano essere i passi per arrivare all’obiettivo che ci si è posti è di estremo aiuto.
E’ quello che cerco di fare sempre anche nel mio modo di lavorare. So che un lavoro del genere aiuta a chiarire i dubbi prima che questi si presentino in corso d’opera.

lunedì 30 dicembre 2013

Responsablità. che vuol dire?

Una volta si poteva dire, come faceva  il grande Totò, che “uno poi si butta a sinistra” quando si era testimoni di qualche scena di rituale sperpero del bene comune o di tipico abuso di poter da parte delle “autorità costituite” o di più semplice sopruso. Oggi forse non si può avere neanche questa soddisfazione. Chi potrebbe dire una cosa del genere con la coscienza di aver detto una cosa giusta e sensata. La sinistra è veramente immune da soprusi o inefficienze? Sarà che aveva forse proprio ragione lui, parlo sempre di Totò, che lo diceva per farsi e per farci fare una risata. Tutto per non piangere.
Vorrei proprio trovare questo motivo. Quello per non piangere. Ma mi risulta molto difficile. Non perché abbia bisogno di piangere, né mi va di farlo. E’ perché, a differenza del gran ciarlare che sento in giro, voglio parlare di RESPONSABILITA’ e ovviamente voglio farlo parlando di me stesso.
RESPONSABILITA’ è una parola di cui, credo, si sia perso il significato. Nessuno sa più cosa voglia dire oppure molti ne hanno fatta una traduzione personale (molto personale) per cui sembra che ci sia tanta gente che cerca responsabilità negli altri ma non si è mai posto il problema di capire quale è la propria.
Forse sarà la serata “storta” (ho appena cancellato dai miei amici di Facebook una persona di cui ho letto l’ennesimo post “attacca-politici” su cui si scaricano tutti i nostri guai: sembra quasi che sia una catarsi comune: se lo schifo è lì vuol dire che non sono io il problema). Forse ne sono stufo. Sicuramente ne sono disgustato. Per cui cerco di prendere il problema con un approccio diverso.
E visto che siamo praticamente a fine anno ci sta bene fare un resoconto di come quest’anno è passato.
E’ stato per molti aspetti un anno terribile. La società per cui lavoravo è stata messa in liquidazione e con uno di quei giochetti molto diffusi in questi ultimi anni, è praticamente “rinata” sotto altra veste in un vestito molto “più snello” . Il paragone si addice visto che nel “passaggio” sono state lasciate una ottantina di persone (ragazzi, ragazze, padri e madri di famiglie) a casa e anche quelli che sono passati nella “nuova” società hanno dovuto accettare condizioni capestro (io, ad esempio, non sono più un dirigente). Un solo pensiero a tanti cari amici che non sono più miei colleghi e con i quali ho condiviso progetti, paure, soddisfazioni e che sicuramente stanno vivendo situazioni molto più drammatiche della mia (vi penso).
Tante altre idee che pensavo di portare avanti hanno subito un drastico stop o, comunque, sono ancora lì che vagano nella mia testa senza che se ne possa vedere il modo di realizzarle.
Colpa degli altri? (dei capi? del governo? dei politici? dei qualunquisti? dei ladri? degli albanesi? delle banche? dell’Europa? della Merkel? o di chi altri?). Forse è colpa mia.
Oppure, diciamola meglio: si tratta di una mia RESPONSABILITA’.
Forse non c’ho creduto a sufficienza, forse mi sono un po’ lasciato andare, forse ho vissuto questo anno con estrema stanchezza, ma anche con rancore, che non mi ha permesso di esprimermi al meglio.
In un Paese dove normalmente quando le cose vanno male è sempre colpa di qualcun altro, mi sembra un bel passo avanti.
Ci sono validi motivi per affrontare il nuovo anno con altro spirito: riconoscendo i propri errori e dandosi da fare per fare in modo di non rifarli.
PS: leggo che quest’anno il Cancro avrà delle grosse soddisfazioni economiche. Peccato che io non creda agli oroscopi.

domenica 29 settembre 2013

Emiut: un mippino che ci prova

Sembra che le cose non capitino mai per caso. Io sono convinto che la vita proceda per suoi binari. Sta a noi fare in modo che questi binari si incrocino con le nostre strade. È proprio questo il caso.
Nel mio ultimo post "L'abito fa il monaco" mi è capitato di parlare di un amico, Emidio Cesetti, e del fatto che avendo letto il suo libro e ricevuto qualche consiglio pratico, ho cominciato ad interessarmi un po' di più al mio modo di vestirmi e di presentarsi agli altri.
Passano pochi giorni e ricevo notizie da parte di Emidio riguardanti il suo progetto. L'idea ha avuto degli sviluppi. Sta infatti lanciando in questi giorni un'applicazione (é più figo chiamarla app) che tratta di argomenti riguardanti lo stile nel vestire, anzi, per dirla con sue parole, è proprio un'applicazione sullo stile.
L'applicazione, che si chiama Emiut, vedrà la sua nascita proprio in questi giorni e mi da modo di parlare di un po' di cose.
La prima riguarda il modo innovativo di lancio.
Emidio infatti è, come spesso molti imprenditori di start-up, alla ricerca di fondi per lanciare sul mercato la sua idea.
Non avendo, immagino, qualche zio facoltoso a cui chiedere i soldi che, come dicono anche tanti Venture Capitalist, resta il miglior modo per cercare i fondi necessari a mettere in pratica i propri sogni imprenditoriali (parlo ovviamente dei casi cui non si stia parlando di milioni di Euro), lui ha scelto di affidarsi ad una piattaforma americana (Kickstarter) per pubblicizzare il suo progetto e offrire l'opportunità, a chi ha intenzione di dargli una mano, di potergli assicurare un contributo economico in cambio di pubblicità che Emiut offrirà all'interno della sua applicazione (si tratta ovviamente di un'applicazione web based).
Si tratta, già volendo prendere in considerazione solo questo aspetto, di qualcosa di innovativo. Non vi pare? (applausi ad Emidio).
Oltre a questo stiamo parlando di un progetto abbastanza ambizioso. Un'applicazione che si interessa di stile e che si propone di dare consigli pratici su come vestirsi con stile con tante funzioni e argomenti. Si parlerà anche di stile sportivo e casual giusto per non parlare sempre di cravatte, gemelli e Derby o Brogue ai piedi (altro applauso). Qualcosa quindi di moderno visto che si parla di web, di tecnologia e anche di social (il tormentone del momento) essendo Emiut dotata di una funzione gratuita che permetterà di inviare domande sullo stile con immagini allegate gratuitamente direttamente dal nostro cellulare e avendo la possibilità di ottenere consigli direttamente da Emidio.
Viene proprio la voglia di dargli una mano per far si che questo progetto, sviluppato in collaborazione con un'importante agenzia di applicazioni di Londra e che quindi richiede dei costi relativamente alti, possa vedere la sua nascita. Si parla di stile italiano nel mondo e anche questo un po' di orgoglio dovrebbe darcelo.
Se a questo aggiungiamo che Emidio è un mippino (standing ovation - anche se solo mia) qualche sterlina su Kickstarter forse possiamo anche pensare di mettercela.
Chissà che non ci si ritrovi a finanziare un idea che spopolerà sull'Apple store.
In questo caso basta scrivere "Ti aiuterò" alla email  hello@emiut.com o sulla pagina facebook Emiut e si riceveranno i dettagli del progetto che sarà tra poco pubblicato su www.kickstater.com e tutti i benefici che sono offerti pubblicamente ed attraverso l'applicazione Emiut.
In ogni caso almeno un Like sulla pagina ufficiale Facebook (https://www.facebook.com/emiut) e condividerla sul nostro profilo potremmo farlo senza grosso sforzo (oggi come oggi un Like non si nega a nessuno).
Dai Emidio.
Faccio il tifo per te.

lunedì 9 settembre 2013

L'abito fa il monaco

Forse riconoscerete il Mahatma Gandhi in questa foto che lo ritrae quando viveva in Sud Africa ed esercitava il suo ruolo di avvocato.
Forse no, perché Gandhi siamo abituati a vederlo in  altro modo.
E non ci immagineremmo mai di accompagnare un testo che parla dell'opera svolta dalla "grande anima", riferimento di un'intera nazione e soprattutto della lotta da questa sostenuta nei confronti del Regno Unito per ottenere la propria indipendenza, con una foto che lo ritrae in abiti occidentali.
Gandhi è famoso per la lotta non violenta contro ogni discriminazione e razzismo nei confronti della popolazione indiana e di questa battaglia ne è diventato un simbolo.
E' proprio il simbolo Gandhi che quindi viene rappresentato nella nostra immaginazione come quell'uomo vestito in khadi e non certamente come un elegante signorotto in giacca scura e gilet.
Vedere Gandhi in abiti europei ne fa perdere tutto il carisma e addirittura farebbe apparire innaturale ogni sua richiesta di eguaglianza e libertà.
Insomma Gandhi è il signore esile ed emaciato che deve essere vestito con il suo dhoti bianco per poter rappresentare tutte le idee rivoluzionarie e innovative per cui ha combattuto durante tutta la sua vita. Non esiste un Gandhi in cravatta nella nostra mente e un'immagine che non lo rappresenti in quel modo farebbe perdere l'efficacia di qualsiasi discorso gli si sentisse pronunciare.
Insomma: l'abito è un elemento fondamentale di una personalità. Vestire in un certo modo significa presentarsi in un certo modo e voler trasmettere agli altri un certo modo di essere.
Un abito costituisce il proprio biglietto da visita prima che questo venga estratto dalla propria tasca. Molto spesso da come una persona si veste traiamo molte considerazioni che risultano fondamentali nell'instaurare un rapporto di conoscenza.
Ho sempre voluto presentarmi nel miglior modo possibile e quindi ho sempre tenuto in gran conto il vestito che portavo addosso. Questo non significa che sono sempre vestito "bene". Mi piace vedere un bell'abito, ma non è detto che io riesca ad essere sempre come un modello ad una sfilata. A parte poi, che non è detto che tutti i modelli di sfilate siano sempre risultati "belli" ai miei occhi. Il mio discorso però vuole essere un po' più generale e quindi non mi addentro in discussioni che riguardano la moda che non è quello di cui voglio parlare.
Voglio parlare di stile.... che è un'altra cosa.
A tal riguardo dico che, per me, abito significa "ciò che porto addosso" e non necessariamente un pantalone con giacca, camicia e cravatta. Per me abito è anche un pantalone ed una T-shirt.
L'importante è saper scegliere con stile e soprattutto indossarla con stile.
Esistono dei concetti di base che conviene conoscere e non saperli può causare delle situazioni imbarazzanti.
Ricordo che tempo fa sono stato a cena dopo una riunione di Alumni del MIP con Emidio Cesetti e abbiamo cominciato a parlare di vestiti e vestiario. Emidio è quello che io considero "un uomo di stile" e se vi capita di farci due chiacchiere ve ne potrete rendere conto.
Io credevo di essere, se non un esempio di eleganza, almeno una persona che si vestiva in modo decente ma dopo quell'incontro ho dovuto rivedere -e di molto - le mie considerazioni. Alcuni dettagli infatti, abilmente rilevati con molta educazione da Emidio, mi facevano apparire non proprio conforme ai dettami dello stile. Non parlo certo di calzino corto o cravatta a righe su camicia a righe (quello lo sapevo già), ma la camicia con tanto di taschino sul petto o la cintura marrone su un abito blu non erano proprio il massimo.
Ho capito quindi che qualche ripasso andava fatto e ho letto con molto piacere il libro (L'eleganza non ha tempo) regalatomi da Emidio che lui aveva scritto proprio per dare qualche "dritta" importante a chi vuole un consiglio su come comporre il proprio guardaroba. Vale ovviamente il solito detto: molto meglio pochi capi ma almeno di stile.
Per quello che si vede in giro una ripassata su questa tematica sarebbe opportuna per molte persone soprattutto perché, in base a quanto dicevo prima, il modo in cui ci presentiamo agli altri è fondamentale per far capire chi siamo. Non c'è storia.
E inoltre bisogna ricordarsi che non c'è mai una seconda opportunità per fare una buona prima impressione.
Proprio per questo devo quindi dirvi che il mio studio ha avuto anche altri sviluppi e ultimamente ho avuto modo di leggere (e di studiare) i consigli dati da Bernhard Roetzel nel suo libro L'uomo. Guida allo stile.
Si tratta di una guida che tocca tutti i punti relativi all'abbigliamento maschile e anche qui le cose che se ne ricavano (per chi è interessato a questo argomento) sono senz'altro utili.
Insomma: buona lettura.

giovedì 29 agosto 2013

Elevator Pitch

Ti trovi all’aeroporto e vedi seduto ad aspettare l’apertura del volo Elserino Piol, venture capitalist e finanziatore di tante startup innovative. Hai in testa il tuo progetto al quale stai pensando da diversi mesi.
Forse Piol potrebbe darti qualche consiglio utile oppure addirittura essere interessato alla cosa. Sei pronto a raccontargli in pochi secondi la cosa a cui stai pensando senza infastidirlo ma, al contrario, generando quella giusta curiosità che ti permetterà eventualmente di parlarne in qualche altro posto avendo a disposizione più tempo?
Lo stesso potrebbe capitare se il gran capo della tua azienda sta aspettando un taxi sul portone d’ingresso e tu hai l’opportunità di farti conoscere perché volevi parlargli di un’idea innovativa che potrebbe essere applicata a quella particolare funzione, ma non hai mai avuto l’opportunità di farti notare per raccontargliela.
Certo non capita tutti i giorni un’occasione del genere per cui, anche se remota, potrebbe valer la pena essere pronti all’evenienza.Vi assicuro che non è semplice presentare un’idea in meno di un minuto a una persona che non ti conosce e che, tra l’altro, non ha messo in conto di dover sentirsi raccontare una nuova proposta.Si chiama Elevator pitch ed è la tecnica per sostenere un discorso di presentazione completo, degno di generare interesse e soprattutto sintetico.L'Elevator pitch è infatti il discorso che una persona farebbe ad un investitore se si trovasse per caso con lui in ascensore. Si deve quindi descrivere sé e la propria attività sinteticamente, chiaramente ed efficacemente per convincere l'investitore ad investire su di lui, ma nei limiti di tempo imposti dalla corsa dell'ascensore.
Un po’ di tempo fa mi è capitato di partecipare alla presentazione di un corso tenuto dalla professoressa Raffaella Bossi Fornarini di Passport (http://www.passportonline.eu) dove si era introdotti a questi discorsi e in chiusura dell’incontro si fece qualche esempio coinvolgendo i presenti. Mi sono proposto per una verifica e ne sono uscito abbastanza sconfortato. Non è una cosa semplice.Ho imparato però alcune cose.In pratica bisognerebbe seguire questo schema:
·         Iniziare agganciando l’interlocutore con un argomento che possa generare la sua attenzione (a volte anche il solo riferimento a qualche cosa che l’interlocutore a fatto negli ultimi tempi può essere produttivo)
·         Comprendere cosa è importante per "lui" e costruire su questo un discorso coinvolgente.  In pratica presentarsi con un “… le dico di cosa mi occupo …” non porta da nessuna parte. L’importante è far subito capire all’interlocutore quale potrebbe essere il SUO vantaggio nell’ascoltare quello che si ha da dire, perché solo questo può dare qualche chance di essere ascoltati
·         Parlare con un linguaggio comprensibile
·         Non minimizzare sulle proprie capacità
·         Dimostrare la propria passione ed energia
·         Parlare con il cuore (essere se stessi)
Come dicevo non è una cosa semplice e vale la pena di organizzarsi per tempo.
Provateci. Vai mai a sapere. Doveste trovare mai un Elserino Piol sulla vostra strada….