martedì 28 aprile 2015

Il mio amico Servillo

Quando ho iniziato a frequentare la prima classe del liceo scientifico di Afragola (non aveva neanche un nome quella scuola) ho conosciuto chi sarebbe diventato il mio compagno di banco per i successivi cinque anni. A parte un piccolo periodo durante il quinto anno, poco prima della fine della nostra esperienza scolastica, in cui ci siamo un po’ persi di vista, posso dire che ogni giorno della mia adolescenza l’ho condivisa con lui. Incluse le domeniche in cui con altri amici, tutti maschi, passavamo i pomeriggi a ciondolare per il corso di Afragola a farci le famose “vasche” che consistevano nel passeggiare parecchie volte per un’unica strada percorrendo lo stesso tratto più e più volte proprio come un abile nuotatore all’interno della piscina, senza l’acqua però. Una sorta di gara di mezzofondo.
Sant'Antonio Basilica di Afragola
Quando l’ho conosciuto abitava come me a Casoria, cittadina dell’hinterland napoletano che all’epoca contava già diverse decine di migliaia di abitanti, ben più grande di tante città di provincia italiane e oggi ormai totalmente assorbita in una periferia metropolitana che l’ha quasi fatta diventare un tutt’uno con la bella, quella si, città di Napoli.
Casoria non era e non è famosa per essere una bella cittadina, come ne esistono tante sparse sul territorio italiano. Casoria era un paesotto di qualche migliaio di persone che negli anni sessanta, quando i mei genitori hanno deciso di trasferirsi lì da Napoli, ha conosciuto una vera e propria esplosione demografica accompagnata da una proliferazione di piccole e medie aziende che avevano portato un certo benessere sconosciuto in quei luoghi. Dopo il boom però la situazione è totalmente cambiata. Le industrie sono a poco a poco scomparse e quello che all’epoca si concedeva, ovvero la creazione di quartieri dormitorio con poche strutture pubbliche (non esisteva neanche una scuola superiore o un teatro) in cambio di un benessere (lo stadio comunale, le associazioni culturali che fiorivano, la piscina con i campi da tennis, la creazione di una borghesia che si poteva permettere una vita mediamente agiata - niente di eccezionale - ma se non altro le famiglie non erano avvilite dalla difficoltà del vivere e dall’incertezza del futuro), le si è ritorto contro lasciando, quando il benessere è scomparso, solo un gran senso di desolazione.
 
Ma non era di Casoria che volevo parlare. Ho parlato di Casoria solo perché il mio amico ci abitava come me quando ci siamo conosciuti. L’anno dopo si è trasferito ad Afragola, paese di ben altra tradizione, in cui erano nati i suoi genitori e certamente più provinciale rispetto all’urbanizzata Casoria e di cui il mio amico mi ha sempre decantato le lodi.
Il mio amico Servillo ha rappresentato per me il modello di vita di quegli anni. Ogni cosa che facevo all’epoca l’ho spesso intrapresa cercando di imitare qualcosa che lui aveva già fatto. Al mio amico Servillo i suoi genitori avevano regalato un Caballero 50 e quella moto ha rappresentato la maggior parte dei miei sogni di quegli anni. I miei genitori sono stati però inflessibili e non mi hanno mai concesso di possederne una. Non era solo una questione di moto. Lui aveva stile e ho sempre cercato di copiarglielo. Il mio amico Servillo aveva quella parlata napoletana aristocratica che ho sempre tentato di imitare non credo con molta fortuna. Hai presente quando senti parlare qualcuno e dici: questo è napoletano! Ma è quel napoletano che si ascolta con piacere, quella parlata di cui apprezzi la musicalità e che non è mai volgare, sguaiata. Dal mio amico Servillo ho copiato il primo Loden blu, gli stivaletti neri comprati da Paskal (un negozio di Via dei Mille che all’epoca andava per la maggiore) i jeans Levi’s 501 quelli con la targhetta rossa, gli occhiali Lozza. Solo in una cosa ho cercato di non imitarlo. Nei suoi risultati scolastici. Il mio amico Servillo non era quella che si dice una cima a scuola. Anzi, a dir la verità, la motivazione per cui siamo diventati amici è stata proprio perché lui voleva studiare con me sperando in questo modo di migliorare i suoi voti (ci speravano anche i suoi genitori). Non sono stato un buon insegnante perché, anche se non ha mai perso un anno, ogni Settembre si trovava a dover riparare almeno un paio di materie. Invece di insegnare io a lui qualcosa alla fine è successo che lui ha insegnato molte cose a me. Chissà se questo lo sa. In ogni caso è ancora un mio grande amico e, anche se viviamo a più di ottocento chilometri di distanza, è sempre un piacere quando lo sento e meglio ancora quando riusciamo a d incontrarci.
 
E’ successo poco tempo fa e la cosa mi ha riempito di gioia. Ho incontrato Enzo Servillo, è questo il suo nome completo, lo scorso Febbraio alla Caffettiera di Napoli in piazza dei Martiri e ci siano ripromessi che ci rivedremo a breve.
Ci conto.
Qualche giorno fa mi è capitato di conoscere un altro afragolese di nome Servillo che è anche più famoso di Enzo. Toni, è questo il nome dell’altro Servillo, è un grandissimo attore da me visto diverse volte a teatro e di cui ho apprezzato la bravura nella stupenda interpretazione di Jeppy Gambardella ne La Grande Bellezza consentendo al film di vincere un premio Oscar. E’ stato un piacere scambiare un po’ di chiacchiere con lui e ricordare il fatto che nei lontani anni settanta ho avuto modo di vedere una sua messa in scena de La Norma. Confesso che me lo ricordo proprio perché avevo notato che la regia era di un certo Servillo e quel cognome me lo ero ricordato proprio a causa del mio amico Enzo.
Grande attore Toni e splendida persona dal sorriso affascinante, ma il mio modello è ancora il mio amico Enzo.