giovedì 29 agosto 2013

Elevator Pitch

Ti trovi all’aeroporto e vedi seduto ad aspettare l’apertura del volo Elserino Piol, venture capitalist e finanziatore di tante startup innovative. Hai in testa il tuo progetto al quale stai pensando da diversi mesi.
Forse Piol potrebbe darti qualche consiglio utile oppure addirittura essere interessato alla cosa. Sei pronto a raccontargli in pochi secondi la cosa a cui stai pensando senza infastidirlo ma, al contrario, generando quella giusta curiosità che ti permetterà eventualmente di parlarne in qualche altro posto avendo a disposizione più tempo?
Lo stesso potrebbe capitare se il gran capo della tua azienda sta aspettando un taxi sul portone d’ingresso e tu hai l’opportunità di farti conoscere perché volevi parlargli di un’idea innovativa che potrebbe essere applicata a quella particolare funzione, ma non hai mai avuto l’opportunità di farti notare per raccontargliela.
Certo non capita tutti i giorni un’occasione del genere per cui, anche se remota, potrebbe valer la pena essere pronti all’evenienza.Vi assicuro che non è semplice presentare un’idea in meno di un minuto a una persona che non ti conosce e che, tra l’altro, non ha messo in conto di dover sentirsi raccontare una nuova proposta.Si chiama Elevator pitch ed è la tecnica per sostenere un discorso di presentazione completo, degno di generare interesse e soprattutto sintetico.L'Elevator pitch è infatti il discorso che una persona farebbe ad un investitore se si trovasse per caso con lui in ascensore. Si deve quindi descrivere sé e la propria attività sinteticamente, chiaramente ed efficacemente per convincere l'investitore ad investire su di lui, ma nei limiti di tempo imposti dalla corsa dell'ascensore.
Un po’ di tempo fa mi è capitato di partecipare alla presentazione di un corso tenuto dalla professoressa Raffaella Bossi Fornarini di Passport (http://www.passportonline.eu) dove si era introdotti a questi discorsi e in chiusura dell’incontro si fece qualche esempio coinvolgendo i presenti. Mi sono proposto per una verifica e ne sono uscito abbastanza sconfortato. Non è una cosa semplice.Ho imparato però alcune cose.In pratica bisognerebbe seguire questo schema:
·         Iniziare agganciando l’interlocutore con un argomento che possa generare la sua attenzione (a volte anche il solo riferimento a qualche cosa che l’interlocutore a fatto negli ultimi tempi può essere produttivo)
·         Comprendere cosa è importante per "lui" e costruire su questo un discorso coinvolgente.  In pratica presentarsi con un “… le dico di cosa mi occupo …” non porta da nessuna parte. L’importante è far subito capire all’interlocutore quale potrebbe essere il SUO vantaggio nell’ascoltare quello che si ha da dire, perché solo questo può dare qualche chance di essere ascoltati
·         Parlare con un linguaggio comprensibile
·         Non minimizzare sulle proprie capacità
·         Dimostrare la propria passione ed energia
·         Parlare con il cuore (essere se stessi)
Come dicevo non è una cosa semplice e vale la pena di organizzarsi per tempo.
Provateci. Vai mai a sapere. Doveste trovare mai un Elserino Piol sulla vostra strada….

lunedì 26 agosto 2013

La user experience al ristorante

Diversi anni fa (era il 2010) ho organizzato presso il MIP, la Business School del Politecnico di Milano, un evento in cui ho avuto la fortuna di coinvolgere lo chef Davide Oldani.
Durante la sessione Domande e Risposte (d’obbligo per un evento del genere) venne chiesto allo chef quanto valesse l’ <<experience>> dell’ospite nei confronti della bontà dei piatti assaggiati. In pratica gli alunni MBA del MIP volevano capire se le cose che venivano insegnate in quella scuola - dove tanti docenti di marketing già declamavano la “user experience” come uno dei parametri importanti nella gestione delle aziende di successo - avessero poi un riscontro nella realtà. Forse gli insegnamenti erano un po’ avanti (oppure semplicemente il termine inglese non era ancora entrato nel gergo) e Davide (persona di cui mi vanto di essere amico) fece convergere la discussione sulla sua esperienza di chef e ci parlò delle attività (tante) che aveva svolto in giro per il mondo per poter poi acquisire la sua esperienza (quella che noi italiani intendiamo per conoscenza appresa negli anni). Erano altri tempi.
Oggi siamo in una nuova era.
Facebook imperversa e non puoi farci proprio nulla, baby!
Cosa voglio dire?
Andare a ristorante è diventata un’esperienza totale (ma non lo è sempre stata?). Oltre al gusto e all’olfatto bisogna tener conto anche della vista proprio perché quella esperienza risulti maggiormente coinvolgente. I piatti quindi devono essere anche belli. Bene: se a questo aggiungi la facilità di ottenere delle foto, la voglia di far sapere a tutti i fatti propri, il gioco è fatto. La tentazione è a portata di mano, anzi di telefono.
Insomma è una moda e come tutte le mode prima o poi finirà ma per il momento non possiamo farci nulla. Guai “vietarla”. Farà apparire la cosa ancora più esclusiva e quindi maggiormente “di moda”.
Devo dire che comunque a me non dispiace. Quando devo scegliere un ristorante, cerco sempre sul web le foto dei piatti che questo offre e se trovo solo foto di piatti vuoti e sedie o quadri, un po’ mi insospettisco.
Unico accorgimento: imparate a fare delle belle foto. La maggior parte di quelle pubblicate sono bruttissime. Ecco in questo gli chef hanno ragione: se dovete farlo, fatelo bene!

Questo commento è stato pubblicato sul sito www.dissapori.it al post "Gli chef sono in rivolta contro i piatti del web e io non ho niente da mettermi"
http://www.dissapore.com/grande-notizia/chef-in-rivolta-contro-i-piatti-del-web/