mercoledì 27 aprile 2016

Il Paese dei ciliegi

L’ho sognato per più di tre anni. Anzi, devo portare la memoria ancora più lontana se voglio pensare alla prima volta che decisi di voler andare in Giappone. L’oriente mi ha sempre affascinato e dopo essere stato due volte in Cina e due volte anche in India, il Giappone era il posto che volevo conoscere.
Mi interessava tutto di quel paese: innanzitutto la storia, ma anche la gente, il cibo, l’eleganza e i colori.
Non che tutto ciò che arrivasse dal Giappone mi piacesse a prescindere. Considero i giapponesi tra i popoli più razzisti del mondo. Se avete letto Shogun di James Clavell un’idea ve la sarete fatta. Il fatto di essere un’isola circondata dal Pacifico lì fa sentire probabilmente diversi dagli altri e questo ha le sue conseguenze. Dopotutto se si pensa che un’isola poco più grande dell’Italia (377.944 km² contro i 301.340 km² della nostra penisola) non sia mai stata conquistata da popoli che risultavano di gran lunga più numerosi e che anzi in alcuni periodi sia addirittura stato il Giappone a tenere sotto scacco la Cina
(ricorderete il bellissimo film di Bertolucci, l’Ultimo Imperatore) si capisce perché quel popolo debba sentirsi un po’ diverso dagli altri. Ad ogni modo non era questa peculiarità che mi interessava e devo dire che il mio contatto con i giapponesi è stato molto positivo. Li ho trovati abbastanza ospitali anche se il limite della lingua pesa molto nei rapporti relazionali e i giapponesi non sono famosi per la conoscenza dell’inglese.
Essere in Giappone per la fioritura dei ciliegi me l’ero imposto e il 3 Aprile sono partito insieme a Franca e ad altri due amici con la speranza che il tempo non facesse brutti scherzi. Scommessa vinta non senza un po’ di patema. In questi ultimi anni le stagioni sono realmente impazzite e prevedere a Novembre, quando ho comprato i biglietti dell’aereo, come sarebbe stato il tempo ad Aprile e sperare che quella sarebbe stata la miglior settimana per potere vedere i ciliegi in fiore non era semplice.
Sono stato però fortunato e abbiamo colto, a detta di tutti, la settimana giusta. Il tempo è stato dalla nostra, a parte una giornata in cui abbiamo preso una pioggia pazzesca. E’ stato uno spettacolo. La fioritura dei ciliegi in Giappone non è semplicemente un evento meteorologico: è una festa vera che coinvolge tutti i giapponesi. Ho visto migliaia e migliaia di persone che letteralmente impazziscono per questa cosa e bisogna dire che ne hanno ben ragione. Non stiamo infatti parlando di qualche albero che offre il suo sfoggio di fiori bianchi o rosa in qualche campagna come ci capita di vedere ogni tanto in Italia quando attraversiamo all’inizio di primavera una bella campagna o qualche territorio ai lati di un’autostrada. In Giappone quando si parla di fioritura dei ciliegi si parla di interi parchi che offrono uno spettacolo meraviglioso, di giardini che lasciano senza parole, di un popolo che partecipa a questa festa con pic-nic organizzati nei parchi anche di grandi città. Un evento che viene seguito giorno per giorno dai telegiornali nazionali che aggiornano i telespettatori sullo stato della fioritura in tutta la nazione. Addirittura mi è capitato nell’hall dell’albergo di Kyoto di trovare un manifesto che veniva aggiornato tutti i giorni con lo stato di fioritura degli alberi dei parchi cittadini. Ho partecipato a Kanazawa alla visita notturna nel castello per ammirare i ciliegi illuminati come in un set cinematografico insieme ad altre migliaia di persone e vi assicuro che l’effetto era grandioso.
Popolo strano comunque quello giapponese ossessionato dalla precisione e dal rispetto per gli altri tanto da ricadere nei più classici dei luoghi comuni. In realtà è tutto vero: un giapponese si inchinerà davanti a tutto e cercherà sempre di accompagnare qualsiasi discorso con un cenno del capo e non vi toccherà mai con le mani anche se le userà tantissimo nei suoi discorsi. Mi è capitato di postare un filmato che ho fatto su di un treno dove si vede un incaricato delle ferrovie che saluta e ringrazia con un inchino tutte le persone che scendono dal treno. Tutte le persone, una per una! Inoltre ho sempre visto che gli addetti alla pulizia del treno quando questo arriva in stazione si fermano e si inchinano per salutare il suo arrivo. Significa che tutti gli addetti sono sull’attenti con la testa piegata da quando il treno si presenta in stazione fino a che non si ferma. Altra cosa che mi ha lasciato stupito è il fatto che i controllori che passano nei vari vagoni del treno ogni volta che passano da una carrozza all’altra, si girano verso i passeggeri della carrozza che stanno lasciando, si inchinano e poi si girano per uscire. Se passano dieci volte per dieci volte, si girano, si inchinano, si rigirano ed escono. E’ inoltre significativo notare che sebbene usino molto le mani per gesticolare, non indirizzeranno mai un dito verso di voi. Altro luogo comune di cui ho verificato la veridicità è la famosa scena di Lost in traslation nella quale Bill Murray resta sconcertato dalla traduzione della sua interprete che, nella scena della registrazione dello spot pubblicitario a Tokyo, dopo aver ascoltato il regista giapponese che parla per qualche minuto in giapponese traduce con un semplice: “With intensity ...”. E’ proprio vero: in Giappone tutti parlano e dicono tante cose. Se provi a tradurle ….. il tutto si ridurrà a qualche semplice informazione. Ho ascoltato autisti di autobus oppure controllori di treni tenere dei veri e propri comizi in giapponese all’avvicinarsi di una fermata. Ebbene quando si passava alla traduzione in inglese il tutto veniva condensato in una frase del tipo: “stiamo arrivando nella stazione di XXXX. Non dimenticate i vostri bagagli”. Semplicemente comico!
Inoltre ho fatto un’altra scoperta: quando ho studiato al MIP il metodo Kanban che si riferisce a come viene organizzata la movimentazione dei materiali all’interno di un’industria, mi ero immaginato che tale metodo fosse stato inventato da Toyota e che quell’azienda avesse poi diffuso tale pratica nel mondo. Ho scoperto che non si tratta di un metodo che viene applicato solo nell’azienda automobilistica. Il Giappone è organizzato in questo modo. Tutto segue un flusso preciso e preordinato che fa molto uso di tagliandi, cartoncini da prendere o consegnare. Lo applicano in tutto. Quando mi sono trovato a dover cambiare un po’ di moneta, un addetto al cambio mi ha prima di tutto consegnato un tagliandino con il mio numero sebbene io fossi l’unica persona presente nell’ufficio e poi me lo ha richiesto solo dieci secondi dopo che aveva espletato alcune pratiche di controllo per darmi i miei soldi (pratica che hanno comunque gestito in due persone). Altra cosa che mi ha sorpreso in effetti è proprio questa incredibile burocrazia che utilizzano dappertutto. Scambi di fogli, timbri a più non posso, innumerevoli controlli incrociati: tutto ciò ha l’effetto di ridurre al minimo gli errori ma aumenta sia i tempi che la manodopera richiesta. C’è da dire che questo provoca il fatto che in Giappone praticamente lavorano tutti (forse a fare anche cose inutili) e fino a che se lo possono permettere va bene così. Devo dire che mi aspettavo un paese che facesse molto più uso della tecnologia, ma l’agenzia che ho usato mi ha detto, ad esempio, che fino a qualche anno fa utilizzavano ancora il fax come principale metodo di comunicazione. In ogni caso è un paese che funziona. Hanno una particolare predisposizione all’autolesionismo imponendosi cose che per noi sarebbero inconcepibili: nelle diverse città che ho visitato ho trovato pochissimi cestini. A Tokyo sono praticamente introvabili sebbene sia una città abitata da ben dodici milioni di persone, ma ho contato in dieci giorni non più di tre cicche per terra e nessuna cartaccia anche nei vicoli meno trafficati. Questo significa che ognuno si preoccupa per proprio conto dell’immondizia che produce: semplicemente se la portano a casa. Se non l’avessi sentito con le mie orecchie non ci avrei creduto e l’avrei etichettata come la solita barzelletta. Quando abbiamo visitato il museo a Nara abbiamo visto un custode che avvisava un turista che non poteva accedere alle sale perché aveva una lattina di una bibita. Alla domanda su come avrebbe potuto liberarsene gli è stato detto – senza ridere – che avrebbe trovato un cestino nella stazione ferroviaria distante, appena J, due chilometri.
In ogni caso un paese bellissimo per tanti aspetti. Visitare la casa di un samurai e passare qualche minuto nel suo giardino ed immedesimarsi nelle vesti del proprietario quando passava lì i suoi pomeriggi nella pace assoluta che poteva esserci nel 1600, ti fa capire come mai quel popolo desse priorità alle esigenze dello spirito più che a quelle del corpo.
Portati all’autolesionismo dicevo. E’ tipico vedere la notte il salaryman (viene chiamato così) che esce dall’ufficio dove ha passato le sue dodici e più ore di lavoro. Forse, per quello che ho detto prima, non saranno state ore tutte proficue: ho l’impressione che la produttività sia un parametro non tenuto in gran conto in Giappone, però è stato lì praticamente tutto il giorno e ci ritornerà sicuramente il giorno dopo di buon ora. E’ il motivo per cui la maggior parte dei mariti non gode di nessuna vita familiare, mangia spesso fuori casa e non vede mai i propri figli.
E’ un paese così.
Sayonara Giappone.

PS: per chi volesse vedere un piccolo estratto delle foto (ne abbiamo più di 2.500) può cliccare qui

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