giovedì 7 maggio 2015

Voglio fare il giornalista (... ma non ne sono capace)


Quando andavo a scuola non sono mai stato bravo in italiano. Ricevere le correzioni dei compiti era una vera e propria sofferenza. I voti del Prof. Credentino al liceo erano famosi per la loro esattezza, nel senso che anche un più o un meno faceva la sua differenza. Non so se si trattasse di un compito d’italiano oppure di latino ma ricordo il voto che mi fu dato: 1- - (uno memo meno).
Insomma non avevo certo la dote dello scrittore. Forse sarà stato questo che mi ha spinto a cercare un modo per migliorare le mie capacità narrative. Posso dire di averci messo impegno. Il sito di Anobii su cui annoto ogni mia nuova lettura è una chiara testimonianza di quanto sto dicendo. 241 libri letti dal 2010 a oggi per un totale di più di 65.000 pagine. Niente male considerando che quando avevo diciotto anni leggevo giusto L’Intrepido e poco altro. Farsi catturare dal fascino della lettura è stato un modo per rispondere a una mia lacuna che risultava in linea con il mio modo di essere: molti mi definiscono un introverso.

Romanzi, soprattutto, ma anche gialli, biografie, libri di management, saggi, libri di storia e di economia. La curiosità che mi suscita una bella copertina mi spinge a impossessarmi del contenuto del libro e una volta che questo ha catturato la mia attenzione mi risulta impossibile staccarmici fino a quando non ho terminato l’ultima pagina.  C’è da dire che questa curiosità ha un costo. A parte quello reale, visto che una discreta parte del mio budget di spesa personale è devoluta alla voce “Libri”, c’è anche un costo fisico. Quando inizio un libro, non riesco a lasciarlo a metà anche se quel libro non mi piace e faccio una fatica incredibile ad avanzare nella lettura: ciononostante devo arrivare alla fine. Può capitare quindi di leggere a volte “in apnea”, cercando solo di arrivare alla fine senza il gusto di capire, e spesso apprezzare, quello che si sta leggendo. Se ne ricava un gran mal di testa ma non riesco a farne a meno. Conosco persone che sono capaci di buttar via libri a metà. Ho letto che Francesco Piccolo ha buttato dalla finestra On the road di Kerouac anche se ha continuato a dire che l’aveva trovato interessante perché all’epoca faceva figo dire così (l’ho letto anch’io è mi ci trovo abbastanza d’accordo … sul fatto di buttarlo dalla finestra). Un po’ ammiro queste persone, anche perché reputo che sia assolutamente inutile leggere un libro che non capisci e di cui non ti rimarrà nulla in testa. Io sono fatto di altra pasta. E quindi leggo fino alla fine.

Nel tempo la voglia di leggere si è trasformata e mi ha portato a sperimentare sempre più le mie abilità letterarie. Il mio lavoro mi ha accompagnato in questo percorso. Quando sono diventato Marketing Manager l’opportunità di dover preparare dei testi che potevano anche essere letti da tante persone mi ha posto qualche buona occasione per verificare le mie potenzialità. Ricordo i miei primi scritti che risultavano terribilmente arzigogolati e difficili da leggere, pieni di incidentali e frasi contorte. Non posso dire di aver imparato: i miei scritti risultano ancora arzigogolati, pieni di frasi incidentali e con frasi che necessitano di essere lette più volte per essere capite. Però un po’ sono migliorate e devo confessare che a volte mi piace leggermi.  Probabilmente sarà solo questione di narcisismo ma mi capita di ricevere qualche compimento per quello che scrivo. Tanto male non deve quindi essere oppure chi mi fa i complimenti è solo un caro amico che mi vuole molto bene. Il mio lavoro è stato comunque solo un pretesto perché a quello è seguita la voglia di inviare qualche post su Facebook (con molta parsimonia) per poi arrivare ad aprire il mio blog. Nulla di patologico in ogni caso in quanto la mia media di pubblicazione di nuovi post è molto bassa. Scrivo quando mi piace dire qualcosa di nuovo. Se qualcuno lo leggerà ne sono solo felice. Ultimamente ho comunque fatto un altro passo importante. Da qualche mese collaboro con una rivista – si tratta di una rivista di settore che scrive notizie in ambito IT – che ha avuto fiducia nel sottoscritto e mi concede ogni tanto di poter pubblicare qualche articolo su tematiche che riguardano il marketing oppure che parlino di strategia. ICT4Trade è il nome della testata e sono arrivato a (quasi) tre articoli pubblicati. Il primo ha addirittura trovato posto sulla rivista cartacea e a breve verrà anche pubblicato sul web. Un articolo un po’ tecnico lo potete trovare qui: si parla di Analytics. Mi piace, ne sono contento. Quasi da farmi gridare: voglio fare il giornalista (….. e non ne sono capace, ma questo non ditelo a nessuno).

martedì 28 aprile 2015

Il mio amico Servillo

Quando ho iniziato a frequentare la prima classe del liceo scientifico di Afragola (non aveva neanche un nome quella scuola) ho conosciuto chi sarebbe diventato il mio compagno di banco per i successivi cinque anni. A parte un piccolo periodo durante il quinto anno, poco prima della fine della nostra esperienza scolastica, in cui ci siamo un po’ persi di vista, posso dire che ogni giorno della mia adolescenza l’ho condivisa con lui. Incluse le domeniche in cui con altri amici, tutti maschi, passavamo i pomeriggi a ciondolare per il corso di Afragola a farci le famose “vasche” che consistevano nel passeggiare parecchie volte per un’unica strada percorrendo lo stesso tratto più e più volte proprio come un abile nuotatore all’interno della piscina, senza l’acqua però. Una sorta di gara di mezzofondo.
Sant'Antonio Basilica di Afragola
Quando l’ho conosciuto abitava come me a Casoria, cittadina dell’hinterland napoletano che all’epoca contava già diverse decine di migliaia di abitanti, ben più grande di tante città di provincia italiane e oggi ormai totalmente assorbita in una periferia metropolitana che l’ha quasi fatta diventare un tutt’uno con la bella, quella si, città di Napoli.
Casoria non era e non è famosa per essere una bella cittadina, come ne esistono tante sparse sul territorio italiano. Casoria era un paesotto di qualche migliaio di persone che negli anni sessanta, quando i mei genitori hanno deciso di trasferirsi lì da Napoli, ha conosciuto una vera e propria esplosione demografica accompagnata da una proliferazione di piccole e medie aziende che avevano portato un certo benessere sconosciuto in quei luoghi. Dopo il boom però la situazione è totalmente cambiata. Le industrie sono a poco a poco scomparse e quello che all’epoca si concedeva, ovvero la creazione di quartieri dormitorio con poche strutture pubbliche (non esisteva neanche una scuola superiore o un teatro) in cambio di un benessere (lo stadio comunale, le associazioni culturali che fiorivano, la piscina con i campi da tennis, la creazione di una borghesia che si poteva permettere una vita mediamente agiata - niente di eccezionale - ma se non altro le famiglie non erano avvilite dalla difficoltà del vivere e dall’incertezza del futuro), le si è ritorto contro lasciando, quando il benessere è scomparso, solo un gran senso di desolazione.
 
Ma non era di Casoria che volevo parlare. Ho parlato di Casoria solo perché il mio amico ci abitava come me quando ci siamo conosciuti. L’anno dopo si è trasferito ad Afragola, paese di ben altra tradizione, in cui erano nati i suoi genitori e certamente più provinciale rispetto all’urbanizzata Casoria e di cui il mio amico mi ha sempre decantato le lodi.
Il mio amico Servillo ha rappresentato per me il modello di vita di quegli anni. Ogni cosa che facevo all’epoca l’ho spesso intrapresa cercando di imitare qualcosa che lui aveva già fatto. Al mio amico Servillo i suoi genitori avevano regalato un Caballero 50 e quella moto ha rappresentato la maggior parte dei miei sogni di quegli anni. I miei genitori sono stati però inflessibili e non mi hanno mai concesso di possederne una. Non era solo una questione di moto. Lui aveva stile e ho sempre cercato di copiarglielo. Il mio amico Servillo aveva quella parlata napoletana aristocratica che ho sempre tentato di imitare non credo con molta fortuna. Hai presente quando senti parlare qualcuno e dici: questo è napoletano! Ma è quel napoletano che si ascolta con piacere, quella parlata di cui apprezzi la musicalità e che non è mai volgare, sguaiata. Dal mio amico Servillo ho copiato il primo Loden blu, gli stivaletti neri comprati da Paskal (un negozio di Via dei Mille che all’epoca andava per la maggiore) i jeans Levi’s 501 quelli con la targhetta rossa, gli occhiali Lozza. Solo in una cosa ho cercato di non imitarlo. Nei suoi risultati scolastici. Il mio amico Servillo non era quella che si dice una cima a scuola. Anzi, a dir la verità, la motivazione per cui siamo diventati amici è stata proprio perché lui voleva studiare con me sperando in questo modo di migliorare i suoi voti (ci speravano anche i suoi genitori). Non sono stato un buon insegnante perché, anche se non ha mai perso un anno, ogni Settembre si trovava a dover riparare almeno un paio di materie. Invece di insegnare io a lui qualcosa alla fine è successo che lui ha insegnato molte cose a me. Chissà se questo lo sa. In ogni caso è ancora un mio grande amico e, anche se viviamo a più di ottocento chilometri di distanza, è sempre un piacere quando lo sento e meglio ancora quando riusciamo a d incontrarci.
 
E’ successo poco tempo fa e la cosa mi ha riempito di gioia. Ho incontrato Enzo Servillo, è questo il suo nome completo, lo scorso Febbraio alla Caffettiera di Napoli in piazza dei Martiri e ci siano ripromessi che ci rivedremo a breve.
Ci conto.
Qualche giorno fa mi è capitato di conoscere un altro afragolese di nome Servillo che è anche più famoso di Enzo. Toni, è questo il nome dell’altro Servillo, è un grandissimo attore da me visto diverse volte a teatro e di cui ho apprezzato la bravura nella stupenda interpretazione di Jeppy Gambardella ne La Grande Bellezza consentendo al film di vincere un premio Oscar. E’ stato un piacere scambiare un po’ di chiacchiere con lui e ricordare il fatto che nei lontani anni settanta ho avuto modo di vedere una sua messa in scena de La Norma. Confesso che me lo ricordo proprio perché avevo notato che la regia era di un certo Servillo e quel cognome me lo ero ricordato proprio a causa del mio amico Enzo.
Grande attore Toni e splendida persona dal sorriso affascinante, ma il mio modello è ancora il mio amico Enzo.

martedì 24 febbraio 2015

Ho conosciuto Gianluca Spina

Ho conosciuto Gianluca Spina
Ho conosciuto Gianluca Spina la mattina in cui, insieme ad una trentina di alunni, che poi sono tutti diventati miei amici, iniziavo il mio corso al 1° EMBA ICT presso il MIP, la Business School del Politecnico di Milano.
Abbiamo avuto da quel giorno diverse occasioni di incontro anche dopo che era diventato il Presidente della Scuola soprattutto per temi che riguardavano i rapporti del MIP con l'associazione degli Alumni. Associazione nata soprattutto grazie alla tenacia ed alla volontà di un altro Gianluca (Ferranti), mio grande amico.
Non ho mai scritto di persone che non sono più tra noi. Sarebbe sempre meglio scrivere e parlare di persone con cui puoi confrontarti, con cui puoi discutere.
Mi chiedo quindi: perché parlarne?
Il primo motivo è lo sconvolgimento che la notizia mi ha suscitato. Quando ho ricevuto l'SMS che me la annunciava, ho istantaneamente sperato che si trattasse di un'altra persona. Scelta un po' egoista, visto che si parla sempre di una morte. Purtroppo altri messaggi mi hanno confermato che si parlava proprio di lui e il comunicato del MIP ha definitivamente eliminato ogni dubbio.
Ne parlo perché ricordo le nostre discussioni e mi viene in mente quella determinazione e quella chiarezza nella definizione delle proprie idee che non lasciava dubbi alle loro interpretazioni. E' una cosa che ho apprezzato. Posso quindi dire che qualche volta non ero d'accordo, ma non posso dire che Gianluca non ci avesse sempre chiarito il perché delle sue scelte.
Gianluca Spina presenzia la Winter Conference di AlumiMIP
del 2009 con il Prof. Tomaso Padoa Schioppa
Ne parlo perché Gianluca Spina per me rappresenta il MIP. Ricordo le occasioni in cui l'ho visto al mio fianco in qualche evento che abbiamo organizzato per conto di AlumniMIP e il piacere che provava quando parlavamo dei risultati delle nostre regate dove abbiamo fatto sventolare la bandiera della nostra Scuola su qualche podio internazionale.
Non avrei mai immaginato che il suo spirito di competizione, che per certi versi ne faceva anche un uomo sportivo, ne determinasse la sua fine.
Ne sono sconvolto e ne parlo.
Ne parlo perché per me il MIP rappresenta un tassello importante delle mia vita e Gianluca ne era un pezzo importante.
Ricordo al Christmas Party  del 2013 quando mi disse : "Paolo, tu ci sei?..."
Risposi senza neanche sapere per cosa.
"Certo che ci sono Gianluca" gli dissi e immagino, ora, che si trattasse di qualcosa a cui stava pensando.
Chissà quanti altri progetti, quante idee sono rimaste lì senza poter mai più vedere la luce.
Tutte coperte da un manto di neve assassina.

Ricorderò sempre quelle parole.