L’ho sognato per più di tre anni. Anzi, devo portare la memoria ancora
più lontana se voglio pensare alla prima volta che decisi di voler andare in
Giappone. L’oriente mi ha sempre affascinato e dopo essere stato due volte in
Cina e due volte anche in India, il Giappone era il posto che volevo conoscere.
Mi interessava tutto di quel paese: innanzitutto la storia, ma anche la
gente, il cibo, l’eleganza e i colori.
Non che tutto ciò che arrivasse dal Giappone mi piacesse a prescindere.
Considero i giapponesi tra i popoli più razzisti del mondo. Se avete letto Shogun di James Clavell un’idea ve
la sarete fatta. Il fatto di essere un’isola circondata dal Pacifico lì fa
sentire probabilmente diversi dagli altri e questo ha le sue conseguenze.
Dopotutto se si pensa che un’isola poco più grande dell’Italia (377.944 km² contro i 301.340 km² della nostra
penisola) non sia mai stata conquistata da popoli che risultavano di gran lunga
più numerosi e che anzi in alcuni periodi sia addirittura stato il Giappone a
tenere sotto scacco la Cina

(ricorderete il bellissimo film di Bertolucci, l’Ultimo Imperatore) si capisce perché quel popolo debba sentirsi
un po’ diverso dagli altri. Ad ogni modo non era questa peculiarità che mi
interessava e devo dire che il mio contatto con i giapponesi è stato molto
positivo. Li ho trovati abbastanza ospitali anche se il limite della lingua
pesa molto nei rapporti relazionali e i giapponesi non sono famosi per la
conoscenza dell’inglese.
Essere in Giappone per la fioritura dei
ciliegi me l’ero imposto e il 3 Aprile sono partito insieme a Franca e ad altri
due amici con la speranza che il tempo non facesse brutti scherzi. Scommessa
vinta non senza un po’ di patema. In questi ultimi anni le stagioni sono
realmente impazzite e prevedere a Novembre, quando ho comprato i biglietti
dell’aereo, come sarebbe stato il tempo ad Aprile e sperare che quella sarebbe
stata la miglior settimana per potere vedere i ciliegi in fiore non era
semplice.
Sono stato però fortunato e abbiamo
colto, a detta di tutti, la settimana giusta. Il tempo è stato dalla nostra, a
parte una giornata in cui abbiamo preso una pioggia pazzesca. E’ stato uno
spettacolo. La fioritura dei ciliegi in Giappone non è semplicemente un evento
meteorologico: è una festa vera che coinvolge tutti i giapponesi. Ho visto
migliaia e migliaia di persone che letteralmente impazziscono per questa cosa e
bisogna dire che ne hanno ben ragione. Non stiamo infatti parlando di qualche
albero che offre il suo sfoggio di fiori bianchi o rosa in qualche campagna
come ci capita di vedere ogni tanto in Italia quando attraversiamo all’inizio
di primavera una bella campagna o qualche territorio ai lati di un’autostrada.
In Giappone quando si parla di fioritura dei ciliegi si parla di interi parchi
che offrono uno spettacolo meraviglioso, di giardini che lasciano senza parole,
di un popolo che partecipa a questa festa con pic-nic organizzati nei parchi
anche di grandi città. Un evento che viene seguito giorno per giorno dai
telegiornali nazionali che aggiornano i telespettatori sullo stato della
fioritura in tutta la nazione. Addirittura mi è capitato nell’hall dell’albergo
di Kyoto di trovare un manifesto che
veniva aggiornato tutti i giorni con lo stato di fioritura degli alberi dei
parchi cittadini. Ho partecipato a Kanazawa
alla visita notturna nel castello per ammirare i ciliegi illuminati come in un
set cinematografico insieme ad altre migliaia di persone e vi assicuro che
l’effetto era grandioso.
Popolo strano comunque quello giapponese
ossessionato dalla precisione e dal rispetto per gli altri tanto da ricadere
nei più classici dei luoghi comuni. In realtà è tutto vero: un giapponese si
inchinerà davanti a tutto e cercherà sempre di accompagnare qualsiasi discorso
con un cenno del capo e non vi toccherà mai con le mani anche se le userà
tantissimo nei suoi discorsi. Mi è capitato di postare un filmato che ho fatto
su di un treno dove si vede un incaricato delle ferrovie che saluta e ringrazia
con un inchino tutte le persone che scendono dal treno. Tutte le persone, una
per una! Inoltre ho sempre visto che gli addetti alla pulizia del treno quando
questo arriva in stazione si fermano e si inchinano per salutare il suo arrivo.
Significa che tutti gli addetti sono sull’attenti con la testa piegata da
quando il treno si presenta in stazione fino a che non si ferma. Altra cosa che
mi ha lasciato stupito è il fatto che i controllori che passano nei vari vagoni
del treno ogni volta che passano da una carrozza all’altra, si girano verso i
passeggeri della carrozza che stanno lasciando, si inchinano e poi si girano
per uscire. Se passano dieci volte per dieci volte, si girano, si inchinano, si
rigirano ed escono. E’ inoltre significativo notare che sebbene usino molto le
mani per gesticolare, non indirizzeranno mai un dito verso di voi. Altro luogo
comune di cui ho verificato la veridicità è la famosa scena di Lost in traslation nella quale Bill Murray resta sconcertato dalla
traduzione della sua interprete che, nella scena della registrazione dello spot
pubblicitario a Tokyo, dopo aver ascoltato il regista giapponese che parla per
qualche minuto in giapponese traduce con un semplice: “With intensity ...”. E’
proprio vero: in Giappone tutti parlano e dicono tante cose. Se provi a
tradurle ….. il tutto si ridurrà a qualche semplice informazione. Ho ascoltato
autisti di autobus oppure controllori di treni tenere dei veri e propri comizi in
giapponese all’avvicinarsi di una fermata. Ebbene quando si passava alla
traduzione in inglese il tutto veniva condensato in una frase del tipo: “stiamo
arrivando nella stazione di XXXX. Non dimenticate i vostri bagagli”.
Semplicemente comico!
Inoltre ho fatto un’altra scoperta:
quando ho studiato al MIP il metodo Kanban che si riferisce a come viene
organizzata la movimentazione dei materiali all’interno di un’industria, mi ero
immaginato che tale metodo fosse stato inventato da Toyota e che quell’azienda
avesse poi diffuso tale pratica nel mondo. Ho scoperto che non si tratta di un metodo
che viene applicato solo nell’azienda automobilistica. Il Giappone è
organizzato in questo modo. Tutto segue un flusso preciso e preordinato che fa
molto uso di tagliandi, cartoncini da prendere o consegnare. Lo applicano in
tutto. Quando mi sono trovato a dover cambiare un po’ di moneta, un addetto al
cambio mi ha prima di tutto consegnato un tagliandino con il mio numero sebbene
io fossi l’unica persona presente nell’ufficio e poi me lo ha richiesto solo
dieci secondi dopo che aveva espletato alcune pratiche di controllo per darmi i
miei soldi (pratica che hanno comunque gestito in due persone). Altra cosa che
mi ha sorpreso in effetti è proprio questa incredibile burocrazia che
utilizzano dappertutto. Scambi di fogli, timbri a più non posso, innumerevoli
controlli incrociati: tutto ciò ha l’effetto di ridurre al minimo gli errori ma
aumenta sia i tempi che la manodopera richiesta. C’è da dire che questo provoca
il fatto che in Giappone praticamente lavorano tutti (forse a fare anche cose
inutili) e fino a che se lo possono permettere va bene così. Devo dire che mi
aspettavo un paese che facesse molto più uso della tecnologia, ma l’agenzia che
ho usato mi ha detto, ad esempio, che fino a qualche anno fa utilizzavano ancora
il fax come principale metodo di comunicazione. In ogni caso è un paese che
funziona. Hanno una particolare predisposizione all’autolesionismo imponendosi
cose che per noi sarebbero inconcepibili: nelle diverse città che ho visitato
ho trovato pochissimi cestini. A Tokyo sono praticamente introvabili sebbene
sia una città abitata da ben dodici milioni di persone, ma ho contato in dieci
giorni non più di tre cicche per terra e nessuna cartaccia anche nei vicoli
meno trafficati. Questo significa che ognuno si preoccupa per proprio conto
dell’immondizia che produce: semplicemente se la portano a casa. Se non
l’avessi sentito con le mie orecchie non ci avrei creduto e l’avrei etichettata
come la solita barzelletta. Quando abbiamo visitato il museo a Nara abbiamo
visto un custode che avvisava un turista che non poteva accedere alle sale
perché aveva una lattina di una bibita. Alla domanda su come avrebbe potuto
liberarsene gli è stato detto – senza ridere – che avrebbe trovato un cestino
nella stazione ferroviaria distante, appena J,
due chilometri.
In ogni caso un paese bellissimo per tanti aspetti. Visitare la casa di
un samurai e passare qualche minuto nel suo giardino ed immedesimarsi nelle
vesti del proprietario quando passava lì i suoi pomeriggi nella pace assoluta
che poteva esserci nel 1600, ti fa capire come mai quel popolo desse priorità
alle esigenze dello spirito più che a quelle del corpo.
Portati all’autolesionismo dicevo. E’ tipico vedere la notte il
salaryman (viene chiamato così) che esce dall’ufficio dove ha passato le sue
dodici e più ore di lavoro. Forse, per quello che ho detto prima, non saranno
state ore tutte proficue: ho l’impressione che la produttività sia un parametro
non tenuto in gran conto in Giappone, però è stato lì praticamente tutto il
giorno e ci ritornerà sicuramente il giorno dopo di buon ora. E’ il motivo per
cui la maggior parte dei mariti non gode di nessuna vita familiare, mangia
spesso fuori casa e non vede mai i propri figli.
E’ un paese così.
Sayonara Giappone.
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