Mi sono sempre chiesto se alla
mia età possa definirmi un orfano. Quando si hanno più di cinquant’anni è
abbastanza frequente trovare persone che non hanno più in vita i loro genitori.
Orfani si chiamano i ragazzini di dieci anni o anche meno che, molto spesso a
causa di qualche disgrazia, si ritrovano soli al mondo e devono affidare la
loro vita alla clemenza di qualche parente per non vedersi assegnati alle cure
di un istituto – si chiamano proprio orfanatrofi - con il rischio di iniziare un percorso di
vita che molto spesso diventa un tunnel dal quale non si ha più la possibilità di
uscire per ritrovare la luce.
La fortuna mi ha concesso di
avere avuto i miei genitori ancora in vita – e soprattutto in salute – quando
ho compiuto i miei quarant’anni. L’avevo sempre considerato un augurio quello
di poter salutare insieme ai miei genitori il sorgere del nuovo millennio
(sono del ’60 e quindi ho compiuto quarant’anni nel 2000). Così è stato e sono
grato, non so a chi, ma forse semplicemente alla vita, di avermi concesso il
privilegio di aver festeggiato il terzo millennio in loro compagnia. Tra i miei
cugini sono stato tra i più fortunati perché ho dovuto sopportare il dolore
della perdita di un genitore più tardi degli altri. Quando mi è successo, loro,
parlo dei miei parenti prossimi, avevano già dovuto affrontare almeno una volta
quell’evento. L’ho sempre considerata, con un po’ di senso di colpa, una
fortuna. Poi nel giro di qualche anno tutto è cambiato e mi sono ritrovato,
insieme alle mie sorelle, senza genitori: un orfano, appunto. Qualcuno, con una
visione un po’ più cinica delle cose, potrebbe dire che ci si sente orfani nel
momento in cui sai di non avere più barriere fisiche, vale a dire altre persone, che
si frappongono tra te e l’imponderabile destino che si prospetta ad ognuno di
noi. Ci si sente soli contro la morte: insomma, sai di essere il prossimo della
lista. Non credo si tratti solo di quello, anzi: ne sono sicuro! Non è
semplicemente un paravento che cade quello che viene a mancare, anche se è un
paravento che ti fa apparire la tua fine più lontana, ma è tutto il resto che
viene a scomparire. Sono le tue radici, le tue origini, il tuo essere, per cui
necessariamente ti senti più solo. In questi giorni di Olimpiadi gira un famoso
spot pubblicitario che parla del rapporto madre e figlio che, quando lo guardi,
se riesci a non farti scappare la lacrima, vuol dire proprio che non hai cuore.
Senza voler eccedere al sentimentalismo di quel video - fatto, tra l’altro,
molto bene – è proprio di quelle emozioni che sto parlando. Il sorriso dei tuoi
genitori quando sono lì il tuo primo giorno di scuola e poi ritrovarli in
quello della tua laurea oppure il giorno del tuo matrimonio, o in quello in cui
li hai fatti diventare nonni, il giorno in cui riuscivi a pedalare da solo in
bicicletta, o arrivavi a nuoto alla prima boa del lido, oppure quando soffiavi
sulle candeline dei tuoi compleanni. Ho sempre ritenuto che le scelte più
importanti della mia vita, io le abbia prese in completa autonomia. Per quanto
abbia potuto ho sempre cercato di costruirmi da solo la mia vita. Nello stesso
tempo sono anche super convinto che dietro ogni scelta ci siano sempre stati
loro e i valori che mi hanno insegnato. Non si trattava di farsi imporre delle
loro decisioni, ma non posso immaginare che quel mio essere determinato nel
voler arrivare ad ogni costo agli obiettivi che mi sono man mano prefisso nella
vita non fosse dovuto all’educazione che loro mi hanno dato. La certezza che
quei valori restino impressi nel tuo carattere anche quando i tuoi genitori non
ci sono più è un po’ una consolazione che serve a rappacificarti con la vita nei
momenti in cui la tristezza ti pervade per la loro mancanza. Così come a volte
può funzionare da balsamo ristoratore credere nell’immortalità dell’anima che ci
fa immaginare funzioni protettrici sulle nostre azioni esercitate dai nostri
parenti non più in vita che ci garantiscono una vita terrena più sicura. La mia
mente – troppo razionale per certi aspetti – non mi consente di cedere alle
lusinghe della fede per cui mi consolo immaginandomi la loro felicità qualora fossero
stati presenti a qualche evento da me vissuto dopo la loro scomparsa. L’immagine
di vedermeli lì presenti con il loro sorriso per manifestare la loro approvazione,
mi fa sentire felice e meno solo. Di certo non mi fa sentire in colpa il non
averli fisicamente con me. E’ la vita che ha predisposto quell’evenienza e su
quello io non posso farci nulla. So di essere stato un figlio che non ha creato
grossi problemi e che ha sempre agito avendo massimo rispetto nei confronti dei
propri genitori. So che loro questo l’hanno apprezzato. Sarò anche orfano, ma
sono un orfano felice.